
Il servo di Dio Ludovico Altieri
Monsignor Marcello Semeraro, in questo tempo di reclusione e contenimento, ha invitato la diocesi tutta a pregare con il servo di Dio cardinal Ludovico Altieri, suo predecessore nella sede suburbicaria di Albano dal 1860 al 1867. Il titolo “servo di Dio” indica che per l’esempio lasciato la diocesi ha aperto il processo di canonizzazione (2009) con la fase di indagine diocesana conclusa nel 2015. Ma conosciamo questa figura, perché merita di essere annoverato tra i santi? Di seguito proponiamo un racconto liberamente tratto da un intervento tenuto dal vescovo Agostino Vallini al Convegno “Il colera ad Albano nell’agosto 1867”, organizzato dal Rotary Club Albano Laziale “Alba Longa” il 31 gennaio 2004. La narrazione degli ultimi tre giorni di vita di mons. Altieri porta analogie tristemente inaspettate con i nostri giorni, ma anche una forza consolatrice e un vento di speranza, che aleggia sulla figura di questo vescovo, colpito dal terribile contagio del colera del 1867.
Al rintocco delle campane del Duomo, la povera gente pianse lacrime, come se avessero perso un padre. Anche se non si poteva, tutti uscirono in strada con una sola speranza nel cuore: rendere omaggio a quella cassa chiusa del vero pastore delle pecore, mons. Ludovico Altieri. Le luci delle torce accompagnarono il feretro e non sembrava un funerale, ma un trionfo. La morte era arrivata alle 14.30 dell’11 agosto e come in vita anche dopo la morte, nel testamento, destinò tutto ai poveri.
Poche ore prima tuttavia, nonostante la stanchezza e la fatica causata dal contagio, non si sottrasse nel dare la benedizione a tutti i soldati Zuavi pontifici. Questo piccolo esercito, proprio ad Albano, quell’estate diede sepoltura a tutti i cadaveri, trovati per le strade e nella piazza principale, e che nessuno osava avvicinare per paura di contrarre il morbo del colera.
Poco prima delle 6.00, quella stessa mattina, Ludovico chiese di confessarsi e ricevere il santo Viatico, ma in forma pubblica: i suoi occhi e la sua voce fioca chiesero dopo la confessione di fede dell’arcidiacono di poter fare una preghiera:
“Mio Dio io sono un misero peccatore; e tanti furono i miei peccati! Ma grandi altresì sono state le vostre misericordie verso di me! E qual misericordia potevate voi farmi, che concedermi di morire in mezzo a questo gregge, che mi avete donato?”
La notte tra il 10 e l’11 agosto, il vescovo era stato malissimo e le cure prestategli non ebbero nessun conforto per lui. La sera infatti, nonostante la spossatezza non si fermò un attimo, tra i consigli di sanità, le emanazioni di rigide norme per la disinfezione delle case e dei panni dei malati, i rifornimenti delle farmacie con le medicine necessarie e l’ordine di provvedere all’acquisto della calce viva, necessaria per sigillare le sepolture e impedire la propagazione del contagio.
Nel pomeriggio aveva amministrato le cresime e aveva ricevuto in casa tante persone, pronto com’era sempre a consolare e alleviare i cuori torturati dalla paura e dal dolore.
Anche il giorno 9 agosto, aveva impegnato tutto se stesso per prendere decisioni circa la cura dei malati, le cautele per non diffondere il morbo e le norme per le sepolture. Le inumazioni erano infatti piuttosto sommarie per la mancanza di calce, cosa che notò subito, quando volle visitare personalmente il cimitero e non è da escludere che proprio lì venne contagiato dal colera.
Il giorno precedente, l’8 agosto, non si era fermato un attimo, celebrando il sacramento della cresima ai fanciulli morenti, consolando e confortando le madri, soccorrendo tutte le famiglie in lutto. Quell’ 8 agosto operò instancabilmente e ancor più consolò con parole dolcissime tutte le persone che si trovarono ad affollare il Santuario della Madonna della Rotonda, chiedendo la grazia della liberazione dal colera:
“Fatevi animo, o miei figlioli. È qui il vostro Vescovo, accorso a sostenervi in ogni possibile aiuto, con tutte le sue forze, accorso a pregare e a piangere con voi e, se faccia d’uopo, anche a morire. Fatevi animo. Pensate che il contagio della paura è peggiore di quello del morbo. Se questo morbo è un castigo, subìtelo volentieri, subiamolo con quella rassegnazione che purifica, che ci attira il benigno sguardo del Dio di misericordia. Soccorriamoci, consoliamoci a vicenda. Io stesso sarò padre vostro, sarò, quando occorra, il vostro infermiere. La nostra prece sia anzitutto il coraggio. Efficacissima è quella preghiera che si fonda sull’opera d’uno scambievole soccorso. Meritiamoci l’aiuto del cielo… cerchiamo il nostro posto dove si patisce, dove si geme, dove si muore. Il posto mio, vado ora ad occuparlo”
Mons. Altieri, piangendo davanti l’icona della Madonna “fa generosa offerta della sua vita”.
E pensare che solo il giorno prima, il 7 agosto, si trovava ancora a Roma; tuttavia appena apprese dal Vicario la notizia di quello che stava accadendo decise di trasferirsi ad Albano. Ancor prima di partire preparò insieme al suo segretario, 3000 buoni con la scritta “Vescovado di Albano” per l’acquisto di generi alimentari da distribuire alla gente bisognosa. Senza anteporre indugi, il pomeriggio, partì per Albano e non valsero a nulla le parole del papa Pio IX, preoccupato per lui: “Pensate a voi, eminenza, siete delicato di stomaco. Non vorrei che vi esponeste”. Egli rispose semplicemente: “Santità, il pastore va dove il gregge muore”. Era tranquillo e ripeteva a chi lo accompagna nel suo viaggio:
“Confidiamo, confidiamo in Dio e nei santi; il pastore non deve abbandonare l’ovile quando un pericolo lo sovrasta”.
Furono questi i tre giorni caldi di agosto, dopo che l’epidemia di colera era ferocemente scoppiata ad Albano il 6 agosto 1867e le opere di Ludovico Altieri, vescovo di Albano.
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– Per il testo completo cfr. Agostino Vallini, La carità pastorale del Cardinale Ludovico Altieri, vescovo di Albano dal 1860 al 1867, in Diocesi di Albano, Vita diocesana, 1 (2004), pp. 82-89.
– Per una profilo biografico di Ludovico Altieri cfr. la voce del Dizionario biografico degli Italiani, e il Breve profilo biografico negli Atti per la Causa di beatificazione, in Vita diocesana, 1 (2009), pp. 122-129.