Reliquie tra fede e magia

Reliquie tra fede e magia

Ottobre 15, 2020 Off Di Anna & Filippo

Lo scorso 23 settembre, dal Duomo di Spoleto è stata rubata una reliquia di papa Giovanni Paolo II. Per la precisione hanno rubato un’ampolla contenente alcune gocce di sangue del Papa. La reliquia era stata donata nel 2016 dal cardinale Stanislaw Dziwisz, segretario particolare per tanti anni proprio di papa Wojtyla. Il furto ha provocato sgomento e dolore, ferendo la devozione e la sensibilità di tutti. La preoccupazione maggiore è che possa trattarsi di un gesto a fini di lucro, puro e semplice mercimonio, infatti molte reliquie vengono rubate e vendute proprio come fossero solo oggetti, tralasciando il valore cultuale di tutti coloro che davanti ad una reliquia affidano gioie, dolori, speranze e preghiere. 

La reliquia (dal latino reliquiae, che significa resti) rubata è una cosiddetta reliquia di I classe, in quanto ottenuto da un resto corporeo del Santo: appunto “ex sanguine” che significa dal sangue. Esse, infatti, si distinguono in reliquie materiali del corpo del santo (il famoso sangue di san Gennaro) o reliquie per contatto, ovvero quelle che in qualche misura sono venute in contato con il suo corpo post mortem o oggetti che gli sono appartenuti. 

Ma da cosa nasce la venerazione delle reliquie?

In realtà è una esigenza dell’uomo di tutte le culture quella di mantenere un legame con i defunti, basti pensare al semplice gesto di toccare la bara durante un funerale. Tuttavia questa esigenza antropologica nella nostra tradizione cristiana assume una forma peculiare. 

Sin dai primi secoli del cristianesimo, invalse l’uso che i cristiani si recassero presso i martyria, ossia i luoghi dove venivano uccisi i martiri o le loro tombe, che divennero presto luogo di culto e dunque di pellegrinaggio. A Roma, ad esempio, da subito si conserva la memoria della tomba di Pietro sul colle Vaticano e di quella di Paolo oltre che del luogo del suo martirio (Tre Fontane sulla via Laurentina). Tale culto si fondava su sentimenti di venerazione per tali modelli di vita cristiana, eroi capaci di versare il loro sangue, pur di mantenersi fedeli a Gesù Cristo. Ma divennero ben presto luoghi di pellegrinaggio perché i loro “resti” mortali erano capaci di compiere miracoli. I martyria divennero così pian piano chiese costruite sui “resti” dei martiri.

 

Nell’epoca medievale il culto per le reliquie andò man mano crescendo, strettamente commesso al fenomeno del pellegrinaggio. Gerusalemme e Roma, a cui presto si aggiunsero Santiago in Galizia e S. Michele sul Monte Gargano, divennero i luoghi per eccellenza dove venire a contato con l’esperienza terrena di Cristo e il suo santo sepolcro vuoto, o con i resti mortali dei principi degli apostoli. Il pellegrino che compiva viaggi lunghissimi chiedeva una grazia, ma voleva portare via con sé un “resto” materiale in ricordo di quell’incontro: gli stessi pellegrini erano abituati a poggiare un oggetto (fosse anche un pezzetto di stoffa) sulla tomba del Santo per poterlo conservare e nella speranza che quell’oggetto potesse beneficiare coi miracoli altre persone. 

Nel 787, il II Concilio di Nicea, dispose la prassi di porre le reliquie dei santi al centro dell’altare all’atto della loro consacrazione, il così detto sepolcreto posto appena sotto la lastra della mensa. Non dimentichiamo che l’altare rappresenta Cristo, la mensa incruenta del suo sacrifico cruento sulla Croce e dunque ‘il luogo delle reliquie’ ricorda anche nel nome il suo Sepolcro, luogo sì di morte, ma poi di resurrezione.

Non mancarono – e continuano a non mancare – nella storia gli abusi, le distorsioni e perfino le falsificazioni: le reliquie divennero oggetti di potere politico e di contrattazione economica, in qualche modo quei “resti” mortali furono spesso legittimazione del potere, nella sua accezione negativa, rimanendo testimoni silenti di importanti eventi della nostra storia di fede. La Chiesa ha sempre dovuto cercare di porre un freno agli eccessi. 

Al fine di evitare o perlomeno di ridurre il pericolo di contraffazioni fu introdotto da papa Innocenzo XI (1676-1689) l’istituto dell’autenticazione delle reliquie. L’autenticazione comportava l’apposizione di un sigillo sulla custodia e la stesura di un documento chiamato appunto Autentica.

Ancora oggi, è la Congregazione delle Cause dei Santi che ha il compito di controllare e certificare le reliquie. Papa Francesco ha inoltre rivisto, in modo restrittivo, le disposizioni in merito, proibendo assolutamente il commercio e la vendita per evitare così traffici e speculazioni.

Il Concilio Vaticano II ricorda che «la Chiesa, secondo la sua tradizione, venera i santi e tiene in onore le loro reliquie autentiche e le loro immagini. Le feste dei santi infatti proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi e propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare » (Sacrosanctum Concilium, sulla liturgia, § 111)

In effetti, l’atto di devozione verso una reliquia non ha efficacia per sé stesso, ma è la preghiera che ad esso si accompagna a regalarci la grazia, attraverso il santo invocato che diviene mediatore presso il Signore.

Anche nella nostra parrocchia sono conservate varie reliquie di santi, così come al centro dell’altare sono stati deposti i “resti” di alcuni santi al momento della sua consacrazione; ma soprattutto quanti di voi hanno mai notato che ai piedi dell’altare nella cappella del Santissimo è incastonata una reliquia? Si tratta di una reliquia “ex corpore” (dal corpo) della beata Maria Gabriella Sagheddu, beatificata da papa Giovanni Paolo II, il 25 gennaio del 1983, il giorno conclusivo della settimana di preghiere per l’unità dei cristiani. 

Ma questa è un’altra storia, di cui parleremo la prossima volta…