
La scelta della vita consacrata
Intervista a Gloria Conti
Lunedì 2 febbraio è stata la giornata della vita consacrata. Abbiamo chiesto alla dottoressa Gloria Conti – una laica consacrata della nostra diocesi – di concederci un’intervista. Si è prestata subito e molto volentieri, le sue parole ci hanno riscaldato il cuore perché in fondo ogni esperienza tocca in qualche modo qualche corda della nostra anima.
Chi sei?
Sono una donna che nella vita ha cercato e tutt’ora cerca di vivere al meglio la sua dimensione femminile di sorella, di sposa e di madre.
Come hai scoperto che il Signore ti chiamava alla vita consacrata?
Ho scoperto la mia chiamata ad una scelta di consacrazione radicale negli anni della mia giovinezza, frequentavo l’università ero molto impegnata in vari ambiti: da quello ecclesiale, nella mia diocesi di origine, a quello sociale e anche politico amministrativo. Per circa quattro anni ho vissuto l’esperienza di consigliere comunale nel mio piccolo comune delle Marche. Ero anche fidanzata, non ufficialmente ma avevo un’interessante relazione affettiva con un ragazzo, studente come me. Nel tempo, ho capito che la vita affettiva mi coinvolgeva, mi impegnava ma non più di tanto. Desideravo qualcosa di più sotto il profilo della qualità della mia identità, del mio essere. Quando pensavo ad una famiglia da costruire insieme con questo ragazzo, mi sentivo ingabbiata, come se mi mancasse l’aria. Sentivo di essere chiamata ad un di più, ad un oltre che inizialmente non riuscivo a definire, ad identificare. Non ne vedevo il perimetro, ma sentivo una forte spinta a non fermarmi, a continuare a cercare.
In questa fase è stato molto importante il riferimento e il confronto con una guida spirituale, che mi ha accompagnato e mi ha messa in confronto con me stessa, con i miei limiti e con le mie fragilità.
Cos’è l’ordo Virginum?
È una forma di consacrazione laicale, tipicamente femminile. La più antica forma di consacrazione nella Chiesa. Risale infatti a Marcellina (la sorella di Ambrogio) e alle sue prime compagne che diede vita a questa esperienza di consacrazione verginale, totale al Signore, tra le pareti di casa sua, sostenuta anche dal fratello. Un tipo di consacrazione che si espanse a largo raggio. Pian piano però cominciò a diminuire il fervore dei primi tempi, fino a scomparire, soprattutto con il fiorire delle congregazioni femminili di vita apostolica. Il pontefice che ridiede vigore e recuperò questa forma di consacrazione fu Paolo VI. Oggi è la forma di vita consacrata più fiorente, l’unica in crescita. Ciò che conta tuttavia non sono i numeri, ma l’attrazione che esercita: l’andare dietro a Gesù senza etichette particolari, senza divise e uniformi ma spinte da un forte amore per lui e per la Chiesa, radicate sul proprio territorio.
Com’è scandita la tua vita?
La mia vita è scandita da molti impegni che vanno da quelli legati alla mia dimensione ecclesiale (soprattutto in ambito diocesano), agli impegni del mio lavoro che si sposa felicemente con la mia scelta di consacrazione perché svolgo un servizio molto bello e arricchente alla vita consacrata che deriva – non solo dalla scelta di vita che ho fatto –, ma anche dai miei studi e competenze specifiche poiché sono laureata in materie giuridiche. Ho due dottorati: il primo in diritto canonico e successivamente in Utroque Iure alla Pontificia Università Lateranense dove ho approfondito la dimensione giuridica dei religiosi; di qui nasce il mio servizio alla vita consacrata che è anche una forma di sostentamento.
Mi occupo anche di nullità matrimoniali: attualmente faccio il difensore del vincolo nei processi brevi in ambito diocesano, negli anni precedenti nel vicariato di Roma.
Prima degli impegni però va la mia relazione con Dio, nutrita da una preghiera che dev’essere non semplicemente sufficiente ma abbondante. Questo non vuol dire che io ogni giorno riesca a nutrirmi con una ricca dose di preghiera. È il mio desiderio, è la fatica, è l’impegno di ogni mia giornata. Comunque non deve mai mancarmi il confronto con la Parola di Dio, attraverso la pratica della letio divinae che cerco di fare ogni giorno, ritagliandomi uno spazio che sia solo mio e di Dio, nel quale possa ascoltarlo, incontrarlo, nutrirmi a questa fonte e crescere nell’intimità con Lui. Poi naturalmente celebro sempre le lodi, i vespri e la messa quotidiana. Questa è l’attrezzatura necessaria e imprescindibile per vivere ogni giornata con gli strumenti necessari per essere serena e per poter vivere serenamente i miei impegni, gli accadimenti e le situazioni di ogni giorno, ma anche per trasmettere agli altri la serenità che io traggo dal Signore e Maestro della mia vita.
Nella nostra diocesi svolgi il servizio di direttrice dell’ufficio scuola. Di cosa si tratta e cosa significa insegnare religione cattolica nelle scuole?
Si, nella nostra diocesi svolgo il servizio di direttrice dell’ufficio dell’IRC. La denominazione precisa è l’educazione, la scuola e l’insegnamento di religione cattolica. Una denominazione molto più ampia che non si limita solamente alla gestione dell’insegnamento della religione cattolica ma spazia in maniera molto più ampia e anche più profonda nell’ambito educativo e dell’accompagnamento delle giovani generazioni.
Coordinare questo ufficio significa gestire per un verso l’aspetto amministrativo dell’insegnamento della religione cattolica, che esige anche di interfacciarsi con le istituzioni dello stato e quelle di ispirazione cristiana (con gli istituti scolastici, con il MIUR, con la CEI e la commissione IRC regionale). Questo comporta la nomina degli insegnanti di religione, ma molto di più della loro formazione e del prendermi cura di loro, accompagnandoli dal punto di vista spirituale, pedagogico didattico ma soprattutto umano.
Cosa significa essere insegnanti di religione cattolica nelle scuole bisognerebbe chiederlo a loro. Essi infatti sono impegnati in prima linea, giocano in campo, io li vedo di riflesso. Sicuramente significa giocarsi una bella partita, combattere una buona battaglia, innanzitutto significa farsi compagni di cammino dei propri colleghi, poi farsi accompagnatori e accompagnatrici dei bambini e dei ragazzi che vengono affidati. Significa anche porsi come parametro di confronto e segno di contraddizione perché gli altri, dagli insegnanti di religione si aspettano comunque una coerenza, una testimonianza di vita, molto più di qualsiasi altro docente, perché l’insegnante di religione ce l’ha scritto nelle sue competenze, nel nome. Il contenuto di ciò che insegna non è semplicemente una disciplina ma è una professione di vita, un credo prima e ancor prima che un lavoro. Quindi non si da l’insegnate di religione cattolica se non si da l’uomo e la donna credente.