Perché una nuova traduzione del Padre nostro?

Perché una nuova traduzione del Padre nostro?

Febbraio 18, 2021 Off Di Anna & Filippo

È ormai dal 29 novembre 2020, la prima domenica di Avvento, che quando partecipiamo all’Eucarestia la recita del Padre nostro è cambiata. Non è facile cambiare, bisogna ogni volta porre un po’ di attenzione, perché sono queste le tipiche abitudini che ci portiamo dietro da quando eravamo bambini, quei meccanismi mnemonici, di gesti e parole apprese dai nostri genitori, e che sovente ripetiamo anche senza pensare al significato di quanto diciamo.

Quindi, l’introduzione di questa nuova traduzione nella nuova versione del messale, è anzitutto un’occasione per farci proclamare il Padre nostro prestando più attenzione al significato di questa preghiera, che ci ha lasciato Gesù stesso. Ma perché questa nuova versione?

Il Padre nostro si trova nei Vangeli sotto due diverse forme: in Matteo 6,9-13 e in Luca 11,2-4. Nel Vangelo di Matteo il Padre nostro è collocato al centro del discorso della montagna (capp. 5-7), quasi a tracciare un programma di vita per i discepoli secondo un rapporto fiducioso di figli con il Padre: è questa la versione accolta nella liturgia. L’edizione di Luca è un po’ più breve e colloca il Padre nostro lungo il viaggio che Gesù fa a Gerusalemme, come la preghiera dei discepoli che camminano al seguito di Gesù verso la croce.

Ma veniamo alla traduzione.

Entrambi questi testi evangelici, ci sono stati tramandati in lingua greca, che era la lingua con cui gli Apostoli hanno evangelizzato tutto il bacino del Mediterraneo. Quindi ci troviamo già davanti ad un primo adattamento linguistico: da Gesù che parlava l’aramaico al greco, la lingua comune che usavano gli Apostoli per predicare e gli Evangelisti per scrivere. Poi i testi evangelici, come tutta la Bibbia, furono tradotti in latino: si chiama Vulgata la versione latina fatta da san Girolamo alla fine del IV secolo.

Anche oggi abbiamo varie versioni dei testi originali greci nelle varie lingue moderne e in particolare in Italia c’è la versione CEI del 2008 (ovvero quella stabilita da un’apposita commissione della Conferenza Episcopale Italiana), la stessa che viene usata per la liturgia (in particolare nei messali e nei lezionari).

Possiamo notare che rispetto alla traduzione CEI del 1971 nel Padre nostro ci sono due varianti:

– «come anche noi li rimettiamo»; si recupera così la particella kai (anche), che non era stata considerata nella precedente traduzione, ma che dà enfasi alla reciprocità di questo gesto di remissione: Dio perdona i nostri peccati come anche noi facciamo altrettanto con i nostri fratelli.

– «e non abbandonarci alla tentazione» che sostituisce «e non indurci in tentazione»; c’è un problema sulla resa del verbo originale, infatti, in italiano il verbo indurre non è l’equivalente del latino inducere o del greco eisferein. Il verbo italiano è costrittivo (indurre significa ‘spingere a’), mentre quelli latino e greco hanno soltanto un valore concessivo: in pratica è molto vicino al significato di «lasciar entrare». È per questo che, per esempio, i francesi hanno tradotto «ne nous laisse pas entrer en tentation», cioè «non lasciarci entrare in tentazione» e gli spagnoli traducono «no nos dejes caer en tentación», cioè «fa che noi non cadiamo nella tentazione».

Dunque, l’idea che si vuole esprimere con questa nuova traduzione è che il nostro Dio, che è un Dio buono e grande nell’amore, faccia in modo che noi non cadiamo in tentazione. Come osserva Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze e biblista, nella traduzione «non abbandonarci» «c’è maggiore ricchezza di significato perché chiediamo a Dio che resti al nostro fianco e ci preservi sia quando stiamo per entrare in tentazione, sia quando vi siamo già dentro» (per leggere tutto il suo contributo clicca qui).

Speriamo allora che questa nuova versione, ci aiuti ad entrare ancora di più nel significato di questa preghiera, ad esserne più consapevoli e a far sì che non la recitiamo troppo meccanicamente.