Li inviò

Li inviò

Aprile 8, 2021 Off Di Mirko & Francesca

Il 5 gennaio di quest’anno, mentre tutti eravamo chiusi nelle nostre case, il Signore ha fatto irruzione nella vita di Pietro Larin, inviandolo nelle strade ad annunciare la buona notizia. Abbiamo deciso allora di intervistarlo, perché a pensarci bene, anche i discepoli di Gesù, dopo la sua morte si rinchiusero nel cenacolo; fu proprio lo stesso Gesù che, risuscitato dai morti, entrò nella loro casa per inviarli ad annunciare che egli era vivo. Da quel giorno, a partire dagli apostoli, la Chiesa non ha mai smesso di predicare questo messaggio e con l’imposizione delle mani continua ad inviare nel mondo i suoi ministri. Di seguito l’intervista a don Pietro.

1) Come hai scoperto che il Signore ti chiamava al sacerdozio?
Non è stato immediato comprendere ciò che il Signore voleva da me. È stato un
percorso durato parecchi anni; anni di discernimento che poi mi hanno portato a
compiere il passo decisivo: quello di entrare in seminario. Lì ho approfondito le
domande che portavo nel cuore, la ricerca di risposte, il senso della mia esistenza, in
fondo, la mia felicità. Credo che la volontà di Dio la si capisce non ottenendo più
risposte possibili, ma vivendo giorno per giorno la scelta: verificando in essa la pienezza
di quella vita donata.


2) Cosa significa per te amare Gesù?
Per me, amare Gesù, significa relazionarmi continuamente con lui, con chi ha sempre
indicato: i fratelli che incontro quotidianamente, i più piccoli, i più fragili. È costruire, è
saldare la mia esistenza sulla sua che è “roccia” e non sabbia. Un amore saldo che
resiste anche a quelle tempeste che inevitabilmente si abbattono sulla vita di ciascuno.


3) Quale tappa del tuo percorso di discernimento e di formazione è stata importante
per il tuo cammino vocazionale?

È una domanda complessa che richiederebbe tempo. Come ogni vissuto ci sono dei
momenti forti, che alla luce della Parola risultano essere significativi per la propria vita.
Condivido volentieri due tappe importanti: l’esperienza dell’anno Propedeutico e
l’esperienza presso la “Piccola Casa della Divina Provvidenza” di Torino (Cottolengo).
Entrambe, sono state caratterizzate dalla novità, da quel costante mettermi in gioco
senza paura. Ecco, novità e coraggio sono due aspetti che rendono sempre nuovo e
coraggioso questo Sì a Cristo e alla sua Chiesa. Sono stati due inizi, un po’ come due
polmoni che hanno dato ossigeno nuovo alla mia esperienza di vita.


4) Come hai vissuto la tua Ordinazione Presbiterale?
Credo di non avere mai provato così tanta gioia come quella che sto vivendo in questi
giorni. Nonostante le tante limitazioni, dovute alle restrizioni anti-Covid del periodo
natalizio, ho vissuto intensamente la messa di Ordinazione. Ho percepito familiarità e
in un certo senso, intimità. Eravamo raccolti con quel clima di festa di un giorno tanto
atteso che è arrivato. Devo essere sincero: non riesco a trovare le giuste parole per
raccontarvi quel giorno importante della mia vita e della vita ecclesiale di Albano ma
credo che il mio sguardo e quello dei presenti potranno sintetizzare meglio quanto
vissuto.


5) Custodisci un sogno per il tuo sacerdozio?
Mi piacerebbe condividere un aspetto cui la nostra Diocesi di Albano sta riflettendo da
qualche anno a questa parte ed è il tema del “prendersi cura”. Come ieri anche oggi, a
maggior ragione, il sacerdote è chiamato a chinarsi, a farsi prossimo delle ferite delle
persone e a farsene carico, per poterle presentare all’unico e vero medico delle anime
e dei corpi, Cristo Gesù. È l’esperienza che ho vissuto personalmente da parte di tante
persone, di sacerdoti, che si sono presi cura di me, della mia vita. Il mio sogno sarebbe
quello di poter “restituire” con la mia vita di sacerdote ciò che di bello e buono ho
ricevuto, continuare a passare quel testimone: l’amore per Dio e per i fratelli.