
In cammino verso la festa dei nostri patroni

Gioacchino cacciato dal tempio
Giunse il gran giorno del Signore e i figli di Israele offrivano le loro offerte. Davanti a lui si presentò Ruben, affermando: “Non tocca a te offrire per primo le tue offerte, poiché in Israele non hai avuto alcuna discendenza”. Gioacchino ne restò fortemente rattristato e andò ai registri delle dodici tribù del popolo, dicendo: “Voglio consultare i registri delle dodici tribù di Israele per vedere se sono io solo che non ho avuto posterità in Israele”. Cercò, e trovò che, in Israele, tutti i giusti avevano avuto posterità. Si ricordò allora del patriarca Abramo al quale, nell’ultimo suo giorno, Dio aveva dato un figlio, Isacco.
(Protovangelo di Giacomo 1,2-3)
La parola allo spirito
L’esclusione, la separazione, la vergogna di essere diversi è qualcosa che anche oggi sperimentiamo. Lo stesso essere ‘cristiani’, implicherebbe di essere capaci di andare controcorrente, di non uniformarci alla massa. Gioacchino vive sulla sua pelle questo senso di impotenza, di fallimento, di non riconoscimento da parte di chi lo avrebbe dovuto accogliere; la sua fragilità viene messa a nudo, per cui non gli resta che aggrapparsi al suo agnellino sacrificale e fare dietro front. Non regge la vergogna di un dito puntato su di lui, non basta l’amore per Anna che le è stata a fianco per 20 anni e la sua vita felice e prospera insieme a sua moglie entra in crisi.
Ma noi su chi fondiamo la nostra vita, quale è la roccia e l’ancora a cui ci aggrappiamo?