Fuit homo nascendo, vitulus moriendo, leo resurgendo, aquila ascendendo.

Fuit homo nascendo, vitulus moriendo, leo resurgendo, aquila ascendendo.

Ottobre 13, 2021 Off Di Anna & Filippo

Che significa questa frase di san Girolamo e a cosa si riferisce? Il Padre della Chiesa, che tradusse il testo della Bibbia in latino, la cosiddetta Vulgata, riprese una interpretazione di un altro Padre del II secolo d. C., Ireneo di Lione. 

Sant’Ireneo riferendosi ad un passo del profeta Ezechiele spiegava l’episodio della visione del carro di Dio trasportato da quattro figure tetramorfe, ossia una testa con quattro facce.

Nel brano di Ezechiele infatti, possiamo leggere: 

Al centro apparve la figura di quattro esseri animati, dei quali questo era l’aspetto: avevano sembianza umana e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali. […] Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezze d’uomo; poi fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra e, ognuno dei quattro, fattezze d’aquila.

Ez 1, 5-6.10

Anche nell’Apocalisse di san Giovanni troviamo un riferimento a questa “figura”: 

In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d’occhi davanti e di dietro. Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l’aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l’aspetto d’uomo, il quarto vivente era simile a un’aquila mentre vola. 

Ap 4,6b-7

Ma di cosa stiamo parlando? 

Sia Ireneo che Girolamo stanno “semplicemente” spiegando un mistero fondamentale per la nostra vita di cristiani, anzi potremo dire che qui si parla del “Mistero” per antonomasia, in quanto si sta alludendo a Gesù Cristo.

La traduzione della frase con cui abbiamo aperto questo contributo è infatti: 

«Egli, nato come uomo, morì come un vitello sacrificale, fu leone nel risorgere e aquila nell’ascendere».

Girolamo ha condensato in questa frase il senso allegorico (uno dei quattro sensi con cui i Padri interpretavano la Scrittura) per descrivere l’esperienza terrena di Cristo. L’allegoria consente di rappresentare i concetti attraverso figure concrete di persone, animali o cose dotati di significato autonomo. 

Dunque i quattro esseri viventi, le quattro figure alate o i quattro volti annunciati da Ezechiele, rappresentano tutti insieme Cristo, in quanto uomo nato da Maria, vittima sacrificale che si è offerto sulla croce (il vitello è la vittima per eccellenza), ma è poi risorto come leone (l’immagine di Cristo è associata a quella della leonessa quando, nel deporre sulla terra i suoi piccoli appena nati, che per tre giorni non danno alcun segno di vita, al terzo giorno la riacquistano col soffio materno) ed è asceso al cielo come un’aquila (che è l’essere che vola più in alto di tutti). 

Tale significato allegorico riferito a Cristo subisce poi una traslazione di significato, o meglio un’estensione. I quattro esseri che hanno manifestato e rivelato Cristo in quanto uomo sono anzitutto coloro che hanno parlato, anzi scritto di lui, i quattro evangelisti, che attraverso i loro Vangeli hanno tramandato l’esperienza terrena di Gesù. A ciascuno, sulla base delle loro caratteristiche, la tradizione ha associato uno dei quattro esseri viventi: l’uomo o l’angelo, il leone, il toro e l’aquila che diventano i simboli che oggi noi comunemente riferiamo agli evangelisti.

Donatello, per esempio, nel XV secolo, per la decorazione dell’altare maggiore della basilica di Sant’Antonio a Padova realizzò quattro splendidi pannelli bronzei raffiguranti i simboli degli evangelisti. Ma vediamo per ordine ciascuno di questi simboli.

L’evangelista Matteo è associato all’uomo alato, o all’angelo, perché il suo Vangelo si concentra sull’umanità di Cristo e inizia proprio dalla sua genealogia.

Marco è rappresentato dal leone alato, perché il suo Vangelo enfatizza la maestà di Cristo e la sua regalità, infatti, il leone è tradizionalmente considerato come il re degli animali.

Il Vangelo secondo Luca si concentra sulla dimensione sacrificale del Cristo, iniziando tra l’altro con la visione di Zaccaria nel tempio dove si sacrificano buoi o pecore, e infatti il bue è il simbolo dell’animale sacrificale per eccellenza.

Infine, con l’aquila si identifica Giovanni, nel cui Vangelo si coglie tutta la capacità di vedere oltre il presente, come l’occhio capace di fissare il sole e di volare in alto, aprendo il suo vangelo con la contemplazione del Logos, il Verbo.

Tantissimi sono gli artisti di tutti i tempi che hanno rappresentato gli evangelisti collegandoli a questi quattro simboli, con la consapevolezza che proprio attraverso l’immagine e l’allegoria possiamo avvicinarci sempre più al grande Mistero di Gesù Cristo.

Ne abbiamo scelte quattro a mo’ di esempio. Proviamo a fermarci un attimo davanti a questi capolavori per farci sussurrare ed evocare un segno del suo mistero di misericordia e di amore. 

A Roma nella Cappella Contarelli di S. Luigi dei Francesi, possiamo ammirare il San Matteo di Caravaggio, colto dall’artista proprio nell’atto di scrivere il “suo” Vangelo.

Nel Battistero di Castiglione Olona (Varese) si può ammirare san Marco Evangelista con al fianco il leone alato. L’affresco è di Masolino da Panicale eseguito nel 1435.

Qui si ammira san Luca mentre dipinge la Vergine, affiancato dal bue. Il dipinto è di Giorgio Vasari (circa 1565) e si trova a Firenze nel Convento della Santissima Annunziata.

Nella chiesa di san Giovanni Evangelista a Parma troviamo questa splendida lunetta dipinta dal Correggio. Qui, giovane e bello, l’Apostolo è ritratto nell’atto di scrivere. Lisciandosi il piumaggio, l’aquila, suo animale simbolo, sembra pronta a fornirgli una nuova penna per il suo Vangelo. 

Quale il senso dunque di queste quattro allegorie?

Nella volta del mausoleo di Galla Placidia a Ravenna troviamo un cielo notturno puntellato con un vortice di stelle, ai quattro angoli sono incastonati i quattro Evangelisti nella loro forma simbolica ma il fulcro di tutto è la croce che troneggia la centro: le nostre allegorie sono proprio questo la chiave che ci permette di attingere e rivelare il mistero di Cristo.